martedì 20 dicembre 2011

IL DIRIGENTE SU MISURA

Dirigente comunale, con tanto di stipendio a quattro zeri, ma senza avere una laurea e con un diploma fortemente a rischio. Marco Lombardelli, 37 anni, da ieri pomeriggio non è più il 'responsabile del Gabinetto' del sindaco di Bologna. L'ormai ex braccio destro di Virginio Merola ha deciso di tirare i remi in barca dopo la bufera mediatica scatenata dall'ex assessore della giunta Cofferati, Antonio Amorosi, che aveva reso pubblico il suo singolare status all'interno della macchina comunale bolognese: capo di Gabinetto del sindaco, con stipendio e qualifica da dirigente, ma senza un titolo di studio adeguato così come prevede la legge. Un'anomalia che ha fatto gridare allo scandalo le opposizioni che, scoperta la magagna, avevano già annunciato il ricorso d'urgenza alla Corte dei Conti. Ma prima che la situazione precipitasse, Lombardelli ha deciso di mollare, motivando la sua scelta con l'ormai perduta serenità nel suo lavoro quotidiano e con la salvaguardia della giunta guidata da Merola.

L'ADDIO. “Le notizie di questi giorni riguardo il mio ruolo all'interno dell'amministrazione comunale hanno segnato irreparabilmente la serenità per svolgere al meglio un compito delicato come quello di Responsabile di Gabinetto del sindaco – ha scritto ieri Lombardelli in una nota inviata alla stampa – Ho sufficiente senso di responsabilità per agire evitando che situazioni come questa possano essere strumentalizzate a recare danno al sindaco e alla giunta che stanno lavorando intensamente per il bene di Bologna”. Un addio che quasi certamente non basterà però a mettere al riparo la giunta di centrosinistra e che adesso dovrà spiegare una situazione quantomeno singolare. E cioè come sia stato possibile affidare un ruolo fiduciario così importante senza verificare, al momento della stesura del contratto di incarico, che esistessero i requisiti di legge, ovvero la laurea.

IL VESTITO SU MISURA. A portare alla ribalta il curioso caso di Marco Lombardelli è stato qualche giorno fa l'ex assessore alla casa di Sergio Cofferati, Antonio Amorosi. Svestiti i panni politici, Amorosi da qualche mese si è messo a fare le pulci alla giunta Merola sul sito Affaritaliani.it e dopo aver sollevato più di un dubbio sui concorsi per alti dirigenti del Comune, ha deciso di prendere di mira il ruolo di Lombardelli. Trentasette anni, sposato e con una figlia, l'ex funzionario di partito del Pd (uomo legatissimo all'ex segretario regionale e adesso europarlamentare Pd, Salvatore Caronna) da giugno di quest'anno è il “responsabile del Gabinetto del sindaco” con uno stipendio di 68.500 euro lordi l'anno e un livello D nell'organigramma di dipendente comunale. Un incarico – sussurrano i maligni – cucito su misura dai tecnici comunali proprio addosso a Lombardelli per la mancanza degli idonei titoli di studio: le sue funzioni, almeno formalmente, differiscono da quelle storiche riservate al 'capo di Gabinetto'. Lombardelli, infatti, a differenza dei suoi predecessori a Palazzo d'Accursio è stato 'svuotato' di ogni potere su ufficio stampa e relazioni internazionali, settori di competenza storica del capo di Gabinetto ma che il sindaco Merola decise di scorporare, legittimando così la creazione della nuova figura di 'responsabile'.

SENZA LAUREA. D'altronde se il curriculum politico di Lombardelli è a cinque stelle (inizi nella Sinistra Giovanile, consigliere comunale nei Ds e incarichi dirigenziali nel Pd regionale) quello didattico lascia un po' a desiderare: niente laurea e (come si può leggere sul sito del Comune) un non meglio precisato diploma. Peccato però che per accedere al livello 'D' (e alla relativa retribuzione) la legge stabilisca che tra i requisiti fondamentali ci sia proprio il conseguimento di una laurea. Ma non è finita: il diploma posseduto da Lombardelli in realtà è una “licenza di abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria della professione sanitaria di ottico” che fino all'entrata in vigore della riforma del 1992 non si conseguiva con un corso di studi di 5 anni. Particolare che ha fatto gridare di nuovo allo scandalo l'ex assessore Amorosi convinto che il capo di Gabinetto del sindaco Merola come titolo di studio più alto “avesse solo la terza media”. Sulla vicenda oggi nel corso del Consiglio comunale la giunta cercherà di far chiarezza, mentre il sindaco Merola (che in un primo momento aveva difeso a spada tratta Lombardelli sostenendo che non esistesse nessuna irregolarità) ieri lo ha ringraziato pubblicamente per il lavoro svolto fino a questo momento, riconoscendogli “il suo particolare impegno e dedizione verso la città”.

COSI' FAN TUTTI. Quello di Lombardelli però non è un caso isolato. Altri dirigenti, a Bologna come in molti altri comuni d'Italia, ricoprono incarichi e incassano stipendi a quattro zeri senza necessariamente avere tutti i requisiti richiesti dalla legge. L'escamotage più utilizzato è quello delle nomine attraverso il meccanismo dello 'staff politico', particolare che permette di far guadagnare stipendi da dirigenti laureati anche a chi non ha mai messo un piede in un'aula universitaria. In pratica il Testo Unico sugli Enti Locali del 2000 stabilisce all'articolo 90 “la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge”: di fatto uno strumento per piazzare uomini di fiducia in posti chiave della macchina comunale, riservando loro un trattamento economico diverso da quello degli altri dipendenti comunali. A patto però – vuole la logica politica - che il trattamento economico sia più o meno proporzionato ai livelli di inquadramento. Limite che non sarebbe stato nemmeno rispettato sul caso Lombardelli se si pensa che lo stipendio medio di un alto dirigente comunale a Bologna attualmente si aggira attorno ai 59mila euro lordi all'anno mentre quello riconosciuto al responsabile del gabinetto del sindaco era di 68.500, il tutto senza laurea. Particolare che ha fatto storcere il naso a più di un colletto bianco a Palazzo d'Accursio.

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mercoledì 14 dicembre 2011

LA METAMORFOSI DEL GRILLO

Per non essere un partito ne sono successe davvero di tutti i colori. Forse Beppe Grillo un po' se lo aspettava, ma le sue 5 Stelle - il movimento di liste civiche presenti in molti consigli comunali e regionali sparsi in tutta Italia – ormai sono entrate a far parte legittimamente del sistema politico italiano, con tutto ciò che ne consegue, sia nel bene che nel male. Litigi, lotte per le poltrone, nascita di correnti interne e critiche dalla base sembrano aver contagiato anche le costellazione di liste civiche nate dal nulla e cresciute sul web sotto l'ala protettrice dell'ex comico genovese. Un particolare tutto sommato irrilevante se si guarda alle altre forze politiche italiane ma che forse diventa fondamentale per chi, tra i dogmi da rispettare, aveva proprio quello di non scivolare nella palude partitica.

I NUMERI. Che il Movimento 5 Stelle sia una realtà con cui tutti, prima o poi, dovranno confrontarsi lo dicono i numeri. Nel giro di tre anni le liste civiche, soprattutto grazie alla rete, hanno messo radici profonde sul territorio. Nel 2008 era stato eletto un solo consigliere comunale del Movimento in tutta Italia, a Treviso. Un anno dopo erano diventati 50. Oggi i 'grillini' siedono nelle assemblee cittadine (tra le tante) di Bologna, Torino, Trieste, Rimini e Savona. Alle Regionali del 2010 hanno raccolto la bellezza di 100mila voti e conquistato due seggi in Piemonte e altrettanti in Emilia Romagna. Per non parlare del recente exploit alle urne in Molise che ha provocato più di un mal di pancia al Pd di Bersani. Vittorie frutto del modo 'nuovo' di far politica, degli slogan anti-casta e della volontà di coinvolgimento diretto dei cittadini alle scelte più importanti per la comunità: dalla gestione di acqua e rifiuti, ai piani urbanistici, passando per mobilità sostenibile e stipendi dei dirigenti. Il tutto attraverso il meccanismo dei Meetup, forum e blog sparsi sul web ma anche riunioni e dibattiti old style.

LE PATATE BOLLENTI. Ma non ci sono solo successi nella storia del Movimento a 5 Stelle. Quella recente parla di un alto tasso di litigiosità all'interno delle liste civiche, forse anche dovuto (ed era questo uno dei pilastri fondanti del Movimento) all'assenza di regole certe per la partecipazione alle vita politica dei militanti, o come si amano definire, “libera associazione di cittadini”. La prima patata bollente fu quella che piombò sul movimento subito dopo il primo grande exploit alle urne: quello alle elezioni regionali nel 2010 con la conquista di due seggi in Emilia Romagna. Visto che il capolista Giovanni Favia risultò eletto sia nella circoscrizione di Bologna che in quella di Modena, si doveva fare una scelta su quale seggio liberare e così dare via libera a un altro 'grillino' da portare in Regione. Il Movimento però non scelse di premiare il secondo candidato più votato tra le due province (che sarebbe stata la modenese Sandra Poppi con 717 preferenze), ma convocò delle 'secondarie' per chiedere a 40 delegati provinciali di effettuare l'importante scelta. E alla fine a spuntarla fu il bolognese Andrea De Fransceschi nonostante le sole 367 preferenze raccolte alle urne. Una decisione che mandò su tutte le furie il consigliere comunale dei 'grillini' a Modena, Vittorio Ballestrazzi, che dopo un tam tam continuo su giornali, internet e in diverse tv locali ricevette una 'scomunica' direttamente da Beppe Grillo che gli ordinò di mollare il simbolo del partito.

LE POLTRONE DI ANCONA. Ma Modena non fu un caso isolato. Poco dopo toccò ad Ancona dove Renato Gallegati, candidato a sindaco nel 2009 per il Movimento, un anno dopo la sua elezione a consigliere comunale decise di abbandonare i grillini. Motivo? La decisione di Andrea Quattrini, al quale aveva ceduto il posto di consigliere comunale in un'ottica di alternanza decisa dal Movimento prima delle elezioni, di non schiodarsi più dal suo scranno di consigliere. Con il risultato che oggi nel capoluogo della Marche ci sono tre siti web che fanno riferimento ai grillini ma tutti da una posizione diversa: il forum Meetup (vicino si dice all'Idv), la Lista a 5 Stelle (dell'ex Gallegati) e il gruppo consiliare di Quattrini (unico riconosciuto da Grillo).

LA GUERRA IN PIEMONTE. Ma il caso più eclatante però resta quello in Piemonte dove alla già difficile e travagliata scelta del candidato a sindaco della città della Mole (poi caduta sul 36enne Vittorio Bertola e mal digerita da una parte del movimento, soprattutto quelli che fanno riferimento ai forum Meetup) si è aggiunta la spaccatura, forse insanabile, tra la delegazione dei grillini in Regione e quella che siede in Comune a Torino. Protagonisti dello scontro il consigliere regionale Davide Bono e proprio Bertola, accusato di aver detto sì a un incarico 'dirigenziale' a livello nazionale proposto direttamente da Beppe Grillo. Insomma una nomina piovuta dall'alto e senza un controllo diretto della base, peculiarità di quel sistema che proprio le 5 Stelle dicevano di voler combattere. Accuse che Bertola ha sempre rimandato al mittente, annunciando a più riprese le sue dimissioni, che almeno fino ad oggi però non sono mai state attuate.

L'OMBRA DEL PARTITO. Ma a scatenare parecchi malumori all'interno del Movimento è stata la scelta, operata direttamente da Grillo e dal suo guru della comunicazione Gianroberto Casaleggio, di affidare a quattro persone la progettazione e realizzazione di una 'sovrastruttura' per il coordinamento delle liste civice a 5 Stelle sparse in giro per l'Italia. Una scelta operata non attraverso il web e la rete, come magari qualcuno si poteva aspettare, ma durante una riunione di tutti gli eletti a Milano lo scorso 18 giugno. Summit sconosciuto a gran parte del movimento. Alla fine la scelta della premiata ditta Grillo&Casaleggio piombò su quelli che furono ribattezzati i 'Magnifici 4': Matteo Olivieri (Reggio Emilia) a cui venne affidato di coordinare i progetti delle varie liste, Davide Borrelli (Treviso) che si occuperà della presentazione delle liste, Vito Crini (Brescia) per i programmi e il torinese Vittorio Bertola per lo sviluppo della piattaforma internet, essendo lui un informatico. Incarichi che hanno fatto storcere il naso a molti (i carteggi sui forum tra i diretti interessati sono spesso senza peli sulla lingua) sia nella forma che nella sostanza. Anche perché c'è chi ha visto nella formazione di un coordinamento nazionale tra le liste a 5 Stelle, tra le frettolose smentite, la preparazione per la discesa in campo del Movimento alle prossime elezioni politiche e quindi la creazione di una sovrastruttura che tanto somiglia a quella di un partito vero e proprio. Che per chi ha sempre detto di non volerlo diventare diventa un problema non da poco. Forse è proprio vero: il potere logora chi non ce l'ha.

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venerdì 25 novembre 2011

LEGA, UNA PURGA TUTTA EMILIANA

Tutti giù dal Carroccio. La Lega Nord a Modena sembra aver inaugurato una insolita stagione di 'purghe' di staliniana memoria tra espulsioni, declassamenti, sospensioni e scomuniche. Il tutto in vista dei congressi locali di marzo che, se in teoria avrebbero potuto e dovuto ridisegnare la mappa del potere leghista in città e in provincia, adesso corrono seriamente il rischio di essere relegati a una semplice rimpatriata tra fedelissimi, chiamati a sottoscrivere passivamente lo status quo dell'attuale dirigenza.

I CARTELLINI ROSSI. A dare l'impressione che a Modena la Lega sia poco disposta al confronto interno ci sono le tre espulsioni decise dal partito nel giro di pochi giorni e che hanno riguardato due consiglieri comunali a Modena, Walter Bianchini e Nicola Rossi, e l'ex segretario delle camicie verdi di Sassuolo Mauro Guandalini. Tutti e tre sono stati buttati giù dal Carroccio con l'accusa di aver attentato alla lesa maestà del partito: Rossi e Bianchini sfiduciando il loro capogruppo in Consiglio comunale, Stefano Barberini, (criticato per il suoi show in Consiglio comunale, come quando si presentò calzando degli sci) e Guandalini per le troppe e ingiustificate critiche al sindaco di Sassuolo Luca Caselli, che il Comune lo amministra proprio con la Lega in giunta.

IN PRINCIPIO FU MANFREDINI. Ma le tre espulsioni sono solo gli ultimi tasselli di un mosaico che i vertici della Lega a Modena stanno cercando di smontare ormai da tempo, e che ha portato nell'ultimo anno all'isolamento di forze e uomini che avevano fatto la storia del partito. In cima alla lista c'è proprio l'attuale consigliere regionale Mauro Manfredini, capace nel 2009 di raccogliere come candidato sindaco a Modena 11.327 voti (pari al 11,02% , quasi il triplo di quanto raccolto dalla Lega nel 2004), ma al quale fu chiesto di scegliere tra lo scranno dell'assemblea comunale e quello della Regione. Lui, non senza qualche mal di pancia, scelse Bologna lasciando via libera sotto la Ghirlandina ai giovani del partito che scalpitavano, ma di fatto da quel momento cominciò una lotta per il potere senza precedenti.

EPURATI E ALLONTANATI. A farne le spese, nel giro di qualche mese, furono proprio i fedelissimi di Manfredini e chi aveva osato mettere in discussione la leadership del partito. A Modena, dopo le dimissioni per 'incompatibilità' del consigliere Sandro Bellei, le espulsioni riguardarono Andrea Galli e Gigi Taddei (transfughi del Pdl subito dopo rimandati al mittente), mentre in provincia la scure leghista colpì i storici militanti Adriano Dal Fiume, Giorgio Barbieri e Gabriele Nizzi, tra espulsioni, scomuniche e sospensioni varie. Con il risultato che oggi in Consiglio comunale a Modena il gruppo della Lega Nord è formato da una sola persona (l'ovviamente capogruppo Stefano Barberini) contro i quattro vinti nelle elezioni del 2009, diventati sei dopo l'accoglienza (forse un po' frettolosa) dei delusi del Pdl.

I MILITANTI DI FANANO. Singolare poi il caso di Fanano, piccolo paese sull'Appennino modenese dove l'anno scorso 13 militanti locali furono improvvisamente declassati a semplici 'sostenitori', perdendo così di fatto il diritto di voto nei congressi. Soprattutto in quello che pochi giorni dopo avrebbe dovuto scegliere il segretario leghista della maxi-circoscrizione del Frignano. Poltrona che andò a Loredano Ballantini, padre di Stefania, quest'ultima responsabile organizzativa della segreteria nazionale Emilia e consigliere a Lama Mocogno, ma soprattutto compagna dell'attuale segretario provinciale della Lega Riad Ghelfi, vero deus ex machina del Carroccio a Modena.

LA LEADERSHIP BLINDATA. Lui, assieme a Stefano Bellei (segretario cittadino), dopo le ultime epurazioni sembrano viaggiare a vele spiegate verso i congressi di marzo che dovranno scegliere i nuovi segretari per i prossimi anni. Difficile non pensare a una loro riconferma visto anche il particolare meccanismo che regola il diritto di voto all'interno della Lega. Secondo lo statuto del Carroccio chi vuole iscriversi al partito non acquista direttamente il diritto di voto ma diventa un semplice sostenitore. Solo dopo un anno e se ha dimostrato particolare attaccamento alla camicia verde può fare richiesta di passare a militante. Richiesta che però deve essere vagliata e avallata dalla segreteria provinciale e da quella cittadina. Solo a quel punto il novello leghista potrà esprimere il proprio. Ma a quel punto quante possibilità ci sono che non appoggi i segretari che hanno deciso sul proprio passaggio a militante (o sul loro declassamento come successe a Fanano)? Poche, anzi pochissime se si guarda che a quattro mesi dai congressi a Modena non è emerso ancora nessun altro sfidante alla leadership di Ghelfi e Bellei. Facile prevedere, dunque, che loro sul Carroccio ci resteranno ancora per un po'.

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mercoledì 16 novembre 2011

UN COMMISSARIO PER IL VIMINALE

A Bologna l'avevano soprannominata «nonna lupo». Perché durante i suoi 15 mesi di governo da commissario prefettizio della città si era fatta sì amare per i suoi modi gentili e il suo aspetto rassicurante, quasi familiare, ma quando c'era stato da affrontare le spine del bilancio aveva tirato fuori le unghie sbattendo sul tavolo una ricetta lacrime e sangue con aumento delle rette degli asili, taglio degli stipendi dei dirigenti comunali e stangata su multe e parcheggi.

Anna Maria Cancellieri, il nuovo ministro dell'Interno, (la seconda a salire al Viminale dopo Rosa Russo Iervolino nel 1996) sembra avere nel Dna la «politica dei sacrifici» dettata dal premier Mario Monti. Sessantasette anni, romana, ha iniziato a frequentare gli ambienti che contano da giovanissima: dopo un'esperienza a 19 anni alla presidenza del Consiglio, nel '72 iniziò la sua carriera al ministero dell'Interno per poi, nel 1993, diventare prefetto. Da quel momento una lunga serie di incarichi in giro per l'Italia: da Parma a Catania, passando per Bergamo e Genova, Cancellieri ha vestito i panni della 'risanatrice', gestendo transizioni e vuoti politici. Il più importante - prima della recente nomina a commissario di Parma dopo l'addio forzato del sindaco Vignali - quello di Bologna dove la lady di ferro arrivò nel febbraio del 2010 con l'incarico di traghettare la città emiliana, travolta dallo scandalo di Flavio Delbono e dei suoi viaggi con l'ex fidanzata Cinzia Cracchi a spese della Regione, verso nuove elezioni.

Arrivata tra lo scetticismo generale (qualcuno la etichettò addirittura come «spia leghista» del ministro Maroni nella rossa Bologna) Cancellieri riuscì a conquistare la fiducia di una parte della città che, esaurito il suo mandato da commissario, tentò di trattenerla proponendole la candidatura a sindaco. Lei tentennò, si stupì di tanto amore (il movimento che la voleva a Palazzo d'Accursio tappezzò la città con 300 manifesti per convincerla a cedere alle avance) ma alla fine respinse la proposta indecente, facendo tirare un sospiro di sollievo a Pd e Pdl terrorizzati all'idea di doversi confrontare con un altro candidato civico dopo la fine dell'era Guazzaloca.

Ma nei suoi 15 mesi di governo sotto le Due Torri, il commissario (fan sfegatata dei gialli di Carlo Lucarelli, guarda caso emiliano-romagnolo) non ha raccolto solo elogi. Sindacati e rappresentanze sindacali di base l'hanno duramente criticata per i suoi tagli al welfare, l'introduzione di una retta d'iscrizione per la scuola dell'infanzia, gli aumenti dei ticket di sosta e della tariffa dei rifiuti. «Da qualche parte dovevamo pur prenderli questi soldi», disse lei, inaffondabile, presentando il bilancio da 532 milioni. «Dovevamo tagliare e per farlo abbiamo scontentato tutti, nessuno escluso». Anche sul fronte sicurezza la commissaria tentò di riportare l'ordine in una città sporca e occupata dal degrado portando avanti una personalissima battaglia contro i graffiti che monopolizzavano case e negozi del centro storico. Guerra che riuscì a vincere solo in parte visto che dei quasi 20 mila edifici rovinati dei graffiti la sua task force (l'aveva chiamata 'Pandora') ne riuscì a ripulire solo 400, denunciando 32 writer. Chissà se adesso, dal Viminale, riuscirà a cancellarne qualcuno in più.

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sabato 29 ottobre 2011

L'AEREO PIU' CALABRESE DEL MONDO

Magari avranno anche rivoluzionato il modo di viaggiare di molti ma davanti a tanta caparbietà hanno dovuto alzare bandiera bianca. L'emigrato calabrese batte il volo low cost tre a zero. Per rendersene conta basta fare un salto (si fa per dire) su qualsiasi volo di linea che quotidianamente collega l'aeroporto di Lamezia Terme con un centro dell'opulento Nord. Quei viaggiatori che una volta si potevano trovare negli scompartimenti dei treni a lunga e interminabile percorrenza (con il loro carico di aneddoti, cibarie e valigie stracolme) sembrano aver traslocato nelle cabine depressurizzate, complici i prezzi stracciati dei biglietti aerei e quelli stellari dei viaggi ferroviari. Il tutto non rinunciando affatto alle loro 'specialità'. E allora c'è la signora che prega l'intransigente hostess dall'accento anglosassone di non spostare troppo in là il borsone perché "c'è u' furmaggio buono dentro!", il viaggiatore solitario che tenta di occupare (inutilmente) tutta la fila del suo posto per "poter stendere i piedi" con poche parole e molti gesti, oppure la mamma con prole al seguito che non ne vuole proprio sapere di accomodarsi nel posto 16b visto che un parente è seduto al 24c: "Lo vedi? C'è mia sorella! C'è mia sorella!". E pazienza se la fila 24 è già occupata. La famiglia, si sa, viene prima di tutto.
Insomma, una volta per avventurarsi nel mondo dei pendolari 'made in Calabria' bisognava affrontare (carichi di pazienza e speranza) viaggi notturni sulle rotaie. Adesso basta un'ora comodamente adagiati sui sedili in pelle della classe economy. Ma la valgia resta sempre la stessa. Qualunquemente.

lunedì 10 ottobre 2011

LA SOLITUDINE DEI TORI TAURINI

Forse non la capiremo mai. Forse difficilmente avremo chiari gli elementi per comprenderla e giudicarla fino in fondo. Quel che è certo, però, è che la corrida non è quel che generalmente (e superficialmente) si pensa. Per esempio: uno entra nell'arena convinto di vedere una lotta solitaria tra un toro impaurito e un uomo travestito, e invece si ritrova ad assistere a una sfilata di cavalli, giullari e spadieri: tutti rigorosamente uniti in una psichedelica crociata contro il grosso animale.
Perché la corrida non è una lotta a due, sia chiaro. E' un giostra divisa in tre atti in cui comparse e comprimari sfiancano e tramortiscono la bestia cornuta prima a colpi di drappi colorati (per fargli perdere energia) e poi con uncini e arpioni (per far scorrere il sangue). Il tutto per spianare la strada all'illuminato (nel senso letterale del termine), quel principe torero che si ritroverà a sfiorare un animale sì, cieco di rabbia, ma soprattutto pieno zeppo di lacrime e dolore. Da quel momento in poi la lotta (se mai lo fosse stata) non potrà essere che impari. Provate voi a salvarvi dal vostro carnefice con due colpi di lancia conficcate nella schiena, sei pungnalate e le gambe spezzate da una corsa senza fine. Forse i retorici avevano proprio ragione. Non c'è espressione più vera del "setirsi solo come un toro nell'arena".

giovedì 24 marzo 2011

domenica 6 marzo 2011

GRAZIE FERRO

Forse è proprio vero: sono sempre i migliori che se ne vanno. E lui, Antonio Ferroni, 55 anni da Sant'Agata Bolognese, era uno dei migliori. A fotografare, a incazzarsi e a ridere. Perché con Ferro, come tutti lo chiamavamo, non potevi non ridere. Anche quando nel bel mezzo di un omicidio si avvicinava con la macchina fotografica e mostrandoti lo schermo ti diceva: "O' vecchio, guarda che foto che fa Ferroni".
Adesso che non c'è più, dopo quasi due anni passati insieme, di lui mi piace ricordare due istantanee. La prima risale a tre anni fa, quando per festeggiare il suo compleanno, arrivò in redazione con una porchetta. Intera. Il "maialino", così come lo chiamava lui, appena tirato fuori chissà da quale forno con un'arancia stretta tra le mascelle. Il tutto accompagnato da stria e lambrusco. Per ringraziarlo gli facemmo una sorpresa: la maglia del Bologna incorniciata con il suo nome stampato sopra. Quando la vide, la prese e ringraziò tutti. Poi si avvicinò a me e mi disse: "O' vecchio, faccio le foto per la Macron (lo sponsor tecnico del Bologna, ndr), a casa ne ho una scatola piena". E giù a ridere.
La seconda non poteva che essere una fotografia. Quella che un giorno mi mostrò con l'entusiamo di un bambino. Lui, borsa in spalla e macchina fotografica ben impugnata, accanto a Gianni Rivera all'uscita dal prato di San Siro. "Tu che sei interista - mi disse - vieni qui che ti faccio un regalo".
Dopo due anni, grazie Ferro. Ci mancherai.