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Battuta che non è passata inosservata, tanto che dopo poche ore la notizia dell’infelice uscita era arrivata direttamente sul tavolo di sindaco, opposizione e componenti cattolici della sua stessa giunta. A nulla, infatti, era servito il tentativo da parte dell’avvocato 57enne –eletta in una lista civica ma vicina all’area Pd – di effettuare un primo dietro front e cancellare la frase incriminata dal proprio profilo: blog e altri utenti Facebook avevano già fatto in tempo a ‘immortalare’ la battuta, facendola poi rimbalzare in rete.
A quel punto, incalzata dal Pdl che ne chiedeva le dimissioni e dal silenzio imbarazzato della Curia, all’assessore non è rimasto che rimettere il proprio incarico nelle mani del sindaco Enrico Campedelli e aspettare che la bufera passasse. Non prima però di aver chiesto scusa per l’accaduto. “Sono rammaricata per quanto apparso sulla mia pagina di Facebook – aveva fatto sapere dopo un primo faccia a faccia in Comune con il primo cittadino - Intendo chiarire che si è trattato di una spiacevole e infelice battuta dovuta al clima di tensione che si respira in questi giorni”. Parole che non sono bastate a salvarle la poltrona. Martedì, dopo tre giorni di riflessione, il sindaco le ha revocato tutte le deleghe. “Quanto avvenuto ha fatto venire meno il rapporto fiduciario tra di noi – ha spiegato il primo cittadino in un comunicato – Chi ricopre cariche istituzionali, a qualsiasi livello, non credo possa permettersi dichiarazioni del genere”. Una estromissione ‘benedetta’ dal vescovo Elio Tinti e da tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione.
A quel punto alla Ronchetti – che sempre su Facebook si definiva ‘serenamente atea’ e ‘disperatamente di sinistra’ – non è rimasto che andarsene al mare, non prima di aver incassato la solidarietà di amici e conoscenti, e scoccato una freccia avvelenata ai suoi ex alleati di governo. “Il sindaco mi ha revocato la fiducia e ritirato le deleghe – scriveva martedì alle 19.29 sul proprio profilo – Peccato, speravo di aver fatto un buon lavoro ma qualcuno mi dice che il partito per il quale mi sono data da fare non mi può perdonare”.
di Massimiliano Papasso