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"Mamma guarda c'è Eros!" ho sentito dire a un bambino di nemmeno dieci anni che cercava di infilare la testa tra una reflex e una telecamera sorretto, spinto e sponsorizzato da mamma, sorella, zia e parente non meglio identificato. "Mi fa passare? Devo fare una foto alla bara" mi ha detto un signorotto d'altri tempi spalleggiato dalla moglie (altrimenti comunemente detta 'amica e collaboratrice').
Per non parlare di quelli che in chiesa non ci sono nemmeno entrati e che della cerimonia, delle rondini di Alemenanno, dei suoi occhiali scuri e del suo pudore non hanno voluto sentire nemmeno una spiffero. Sono rimasti lì, asserragliati davanti all'ingresso di Piazza Galvani a fare la conta di chi passava, di chi non si è visto, dei capelli di quel tale, del cappello di quell'altro.
E allora, prima di interrogarsi sulla rilevanza pubblica della vita sessuale di una persona, di sputare sentenze sul cinismo dell'informazione, sull'istinto primordiale che spinge a guardare dal buco della serratura altrui, bisognerebbe domandarsi che senso ha portarsi a casa una foto di una bara in legno massiccio o annotare sul taccuino dei ricordi la lacrima di qualcuno che si professa famoso.