lunedì 19 gennaio 2009

A SANGUE FREDDO

Le hanno bollate come frasi agghiaccianti, spietate, irreali. Pensieri e pallottole provenienti da chissà quale universo parallelo, magari da quel mondo neomelodico difficile da intonare, figuriamoci da capire. Le intercettazioni delle notti di fuoco di uno dei re di Gomorra sembrano aver fatto centro. Hanno colpito al cuore e ancor di più allo stomaco chi, ancora, si ostina a catalogare le guerre di mafia (dalla 'ndrangheta alla camorra) come la sceneggiatura di un film da premio Oscar. Hanno colpito e hanno indignato anche chi con quelle scene è abituato a confrontarsi da molto tempo. C'è chi ha vomitato sentenze e parole sulle canzonette ascoltate prima di un agguato. Chi ha preferito soffermarsi sulle parolacce e sulle bestemmie recitate come se fossero frammenti di un rosario. Insomma una irresistibile leggerezza dell'essere criminali che ha stupito, sconfortato, meravigliato. Eppure sta proprio qui l'errore. Credere, o ancor peggio sperare, che chi scarica centinaia di pallottole su una casa sia davvero così diverso da noi, lontano mille miglia dalla nostra realtà.
Un po' di tempo fa Novantesimo minuto scandiva le domeniche in un "prima" e un "dopo". Il "prima" era fatto di preghiere, passeggiate, pranzi e radioline. Il "dopo" di commenti, discussioni e incazzature. Quella domenica era anche il giorno della Befana: quindi pranzi e preghiere al quadrato. Ad un certo punto, nel bel mezzo di una discussione sulle rovesciate di qualcuno e le parate di qualche altro, scoppiarono dei petardi o qualcosa che ci si avvicinava molto. Una lunga e incontrollabile serie di botti, manco se fossimo alla fine delle feste di Natale. Poi la polvere che vedemmo alzarsi ci fece pensare a qualcos'altro: forse un incendio, forse un cassonetto andato a fuoco. Incominciammo a percorrere i 200 metri che ci separavano dal quel fumo bianco. Quando arrivammo c'era una Fiat Uno conciata come una fetta di groveria. Qualcuno gli aveva scaricato contro almeno due kalashnikov. Dentro, incastrati come topolini, due ragazzi, morti a duecento passi da una domenica come tante altre. Qualcuno li aveva inseguiti in moto per diversi chilometri. Poi una volta raggiunti, gli avevano sbarrato la strada e tanti saluti.
Non ricordo i loro nomi. So di averli visti centinaia di volte, così come i loro sicari, uccisi anch'essi qualche tempo dopo, forse con le stesse modalità. Nessuno di loro era il re di Gomorra ma mangiavano, bevevano, cantavano e ballavano anche prima di un agguato. Anche prima di morire.
Ecco perché non c'è nulla di eccezionale nella mafia. Non c'è niente di agghiacciante in chi progetta, a sangue freddo, come uccidere una persona. Per questo forse è inutile stupirsi della ferocia o della barbarie di certa gente. Serve capire e tenere a mente. Non solo come se fosse la scena di un film da rivedere.

2 commenti:

  1. Non sono d'accordo. Quella che tu chiami normalità è anormalità e credo che sia giusto stupirsi di fronte alla leggerezza di certi accostamenti mangiaeuccidi da domenica pomeriggio. Altrimenti è come dire che Gomorra rovina l'immagine dell'Italia. E se lo dice il capitano della nazionale poi...

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  2. Non ho mica detto che non bisogna stupirsi. Ma solo che in certe parti d'Italia è questa la normalità, c'è una Gomorra ogni giorno. Non stiamo parlando di un film: particolare, che a chi si stupisce per quelle frasi, non è ancora entrato nella testa.

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