venerdì 17 aprile 2009

L'IMPOSSIBILE PARALLELO

Ventidue morti. Molti sono donne e bambini. I testimoni parlano di gente costretta a scavare con le mani tra le macerie, in mezzo ai calcinacci, alle travi. La polvere sembra aver inghiottito tutto. Decine di case e di vite sventrate nel cuore della notte da due scosse ad appena sessanta minuti di distanza l'una dall'altra. Sembra un film già visto, ma in realtà non lo è. Questa volta il terremoto (5.5 e 5.1 della scala Richter) ha colpito la provincia orientale di Nangarhar, fra Kabul e Jalalabad, in Afghanistan a qualche migliaia di chilometri dall'Italia, dall'Abruzzo, dall'Aquila. Eppure i risultati - stando a quanto raccolto fin'ora - sembra essere incredibilmente simile. Verrebbe da dire Onna come Batawul. Eppure c'è qualcosa che non quadra. Qualcosa che non torna.
Domenica 6 aprile alle 3.33, secondo le rilevazioni dell'Ingv, una scossa di 5,8 della scala Richter ha raso al suolo il centro storico dell'Aquila, molti paesi limitrofi, cancellato la vita di 294 persone. Oggi in Afghanistan, in villaggi fatiscenti, dove le case non hanno travi e cemento armato, dove lì forse per davvero i granellini di sabbia fanno da fondamenta, i danni sembrano essere 10 volte minori. Strano ma vero. Tremendamente vero.

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